giovedì 21 giugno 2012

Diseredazione: ammissibilità della clausola meramente negativa


La materia della diseredazione è sempre stata molto dibattuta nel diritto italiano. Dottrina e giurisprudenza sono state, infatti, più volte chiamate a pronunciarsi sulle clausole testamentarie contenenti tali disposizioni.
Prendendo spunto da una recentissima sentenza della Cassazione, la n.8352/2012, analizziamo quali sono stati, negli anni, gli sviluppi dottrinari e della Suprema Corte.
In primo luogo appare utile evidenziare quanto prevede il codice civile a tutela dei diritti dei legittimari.
L'art. 457, 3° comma del codice civile dispone che: "le disposizioni testamentarie non posso pregiudicare i diritti che la legge riserva ai legittimari". Questo vuol dire che la legge riserva in ogni caso una quota di eredità o di altri diritti ad alcune categorie di persone – i legittimari appunto - che sono: il coniuge, i figli legittimi, naturali, legittimati o adottivi, gli ascendenti legittimi  del de cuius (art. 536 c.c.).
Il diritto attribuito dalla legge alla categoria dei legittimari è da sempre ritenuto, sia dalla dottrina che dalla giurisprudenza,  prevalente su ogni diversa disposizione e comunque intangibile, con la conseguente inefficacia di eventuali clausole di diseredazione testamentarie.
Questa interpretazione, secondo la dottrina maggioritaria che sino ad oggi si è occupata della questione, sarebbe  avvalorata da un'altra norma contenuta nel nostro codice civile, l'art. 549 c.c., nella quale viene precisato che non è possibile apporre pesi e condizioni sulla quota di riserva (ndr: dei legittimari).
Anche prima della recente pronuncia della Corte di Cassazione una dottrina minoritaria ha tuttavia sostenuto la possibilità che un erede appartenente alla categoria dei legittimari venisse diseredato, specificando ovviamente che la diseredazione per tale ipotesi può avere efficacia solo sulla parte di eredità “disponibile”, permanendo nel legittimario diseredato la facoltà di agire in riduzione nei confronti degli altri eredi beneficiati al suo posto, per ottenere ciò che la legge gli riserva in ogni caso per la qualità rivestita.
La giurisprudenza che sino ad oggi si è interessata della questione ha, inoltre, dato costante giudizio negativo rispetto a clausole di diseredazione di un legittimario; viceversa quando il soggetto che il testatore intende esclude escludere dalla successione non è un legittimario ma un erede legittimo, la clausola in esame torna a porre interrogativi circa la sua ammissibilità.
In altri termini, l’interrogativo che dottrina e giurisprudenza si pongono è se sia possibile che un testamento contenga solo disposizioni negative (ad esempio: escludo dalla mia successione Tizio).
La dottrina tradizionale esclude l'ammissibilità della clausola di diseredazione in quanto il testamento è un atto revocabile con cui taluno dispone, per il tempo in cui avrà cessato di vivere, di tutte le sue sostanze o parte di esse (art. 587 c.c.); la diseredazione, si sostiene, non è un modo di disporre. Proprio l'avverbio "dispone" che il legislatore usa nell'articolo citato, porterebbe alla considerazione che le disposizioni testamentarie devono avere per fine ultimo una positiva attribuzione di beni e non una finalità negativa, quale l'esclusione di alcuni soggetti dalla successione.
Secondo la giurisprudenza della Cassazione, la clausola de quo sarebbe ammissibile qualora contenga un'istituzione implicita di erede a favore di un altro soggetto.
Due importanti pronunce della suprema Corte, la n.1458/1967 e la n. 5895/1994, infatti, escludevano l'ammissibilità di una diseredazione tout court, e ritenevano nullo il testamento, che senza altre disposizioni positive di attribuzione, avesse come esclusiva finalità quella di escludere un erede legittimo.
Alcuni importanti giuristi ammettevano – anche prima della recente pronuncia - la validità della clausola di diseredazione meramente negativa, e ciò sul presupposto che nessuna norma di legge prevede un suo espresso divieto, ma soprattutto perché, in base al principio fondamentale della autonomia testamentaria, al testatore è riconosciuta la più ampia facoltà di disporre dei suoi beni e quindi anche quella di escludere con apposita dichiarazione un erede legittimo.
Ciononostante sino ad oggi ha sempre prevalso la teoria negatrice della possibilità di prevedere clausole di diseredazione “negative”, avvalorata da costanti pronunce giurisprudenziali.
Per anni è stato possibile, però, aggirare l'ostacolo creato dalla pronunce della Suprema Corte utilizzando la tecnica delle sostituzioni, consistente nell’istituire erede un soggetto e disponendo una serie di sostituzioni dette a cascata, fino a prevedere come ultimo sostituito, un ente pubblico o lo Stato, in modo che al soggetto che si intende escludere non vada comunque nulla.
La sentenza della Cassazione n.8352/2012 costituisce una vera rivoluzione e, non aderendo all'orientamento sopra richiamato, ammette la validità della clausola diseredativa meramente negativa.
L'inversione di tendenza della Cassazione nasce dall'adesione all'orientamento precedentemente enunciato e sostenuto da autorevoli autori, di una diversa interpretazione degli articoli 587 e 588 c.c..
Sostengono infatti i giudici di legittimità che escludere dalla successione “equivale non all’assenza di un’idonea manifestazione di volontà, ma ad una specifica manifestazione di volontà, nella quale, rispetto ad una dichiarazione di volere (positiva), muta il contenuto della dichiarazione stessa, che è negativa”.
Inoltre “la clausola di diseredazione integra un atto dispositivo delle sostanze del testatore, costituendo espressione di un regolamento di rapporti patrimoniali, che può includersi nel contenuto tipico del testamento: il testatore sottraendo dal quadro dei successibili ex lege il diseredato e restringendo la successione legittima ai non diseredati, indirizza la concreta destinazione post mortem del proprio patrimonio”.
Non si può negare che, ai sensi dell'art. 587 1° comma c.c., anche attraverso la sola diseredazione, il testatore abbia, sebbene in modo negativo, predisposto un regolamento dei propri interessi per il tempo successivo alla propria morte.
Escludendo alcuni successori legittimi dalla propria successione il testatore altro non compie che una tacita disposizione in favore degli altri successori legittimi di pari grado.
Il Collegio, a sostegno della soluzione adottata, sottolinea poi come all'interno dell’impianto normativo in materia testamentaria, sono presenti altre disposizioni non attributive come ad esempio la ripartizione dei debiti ereditari (art. 752 c.c.), la dispensa da collazione (art. 737 c.c.) o l'onere testamentario (art.647 c.c.).
In conclusione la Corte evidenzia come "l'ammissibilità della clausola diseredativa, quale autonoma disposizione negativa, appare, infine, in linea con l'ampio riconoscimento alla libertà e alla sovranità del testatore compiuto dal legislatore, che in altri ambiti del diritto successorio ha ammesso un'efficacia negativa del negozio testamentario".
Non può negarsi quindi che, se la pronuncia esaminata verrà seguita ed avvalorata nel tempo questo non potrà che riflettere per il futuro importanti novità nella redazione di schede testamentarie.

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