La
materia della diseredazione è sempre stata molto dibattuta nel diritto italiano.
Dottrina e giurisprudenza sono state, infatti, più volte chiamate a
pronunciarsi sulle clausole testamentarie contenenti tali disposizioni.
Prendendo
spunto da una recentissima sentenza della Cassazione, la n.8352/2012,
analizziamo quali sono stati, negli anni, gli sviluppi dottrinari e della
Suprema Corte.
In
primo luogo appare utile evidenziare quanto prevede il codice civile a tutela
dei diritti dei legittimari.
L'art.
457, 3° comma del codice civile dispone che: "le disposizioni
testamentarie non posso pregiudicare i diritti che la legge riserva ai
legittimari". Questo vuol dire che la legge riserva in ogni caso una quota
di eredità o di altri diritti ad alcune categorie di persone – i legittimari
appunto - che sono: il coniuge, i figli legittimi, naturali, legittimati o
adottivi, gli ascendenti legittimi del
de cuius (art. 536 c.c.).
Il
diritto attribuito dalla legge alla categoria dei legittimari è da sempre
ritenuto, sia dalla dottrina che dalla giurisprudenza, prevalente su ogni diversa disposizione e
comunque intangibile, con la conseguente inefficacia di eventuali clausole di
diseredazione testamentarie.
Questa
interpretazione, secondo la dottrina maggioritaria che sino ad oggi si è
occupata della questione, sarebbe avvalorata
da un'altra norma contenuta nel nostro codice civile, l'art. 549 c.c., nella
quale viene precisato che non è possibile apporre pesi e condizioni sulla quota
di riserva (ndr: dei legittimari).
Anche
prima della recente pronuncia della Corte di Cassazione una dottrina
minoritaria ha tuttavia sostenuto la possibilità che un erede appartenente alla
categoria dei legittimari venisse diseredato, specificando ovviamente che la
diseredazione per tale ipotesi può avere efficacia solo sulla parte di eredità
“disponibile”, permanendo nel legittimario diseredato la facoltà di agire in
riduzione nei confronti degli altri eredi beneficiati al suo posto, per
ottenere ciò che la legge gli riserva in ogni caso per la qualità rivestita.
La
giurisprudenza che sino ad oggi si è interessata della questione ha, inoltre,
dato costante giudizio negativo rispetto a clausole di diseredazione di un
legittimario; viceversa quando il soggetto che il testatore intende esclude
escludere dalla successione non è un legittimario ma un erede legittimo, la
clausola in esame torna a porre interrogativi circa la sua ammissibilità.
In
altri termini, l’interrogativo che dottrina e giurisprudenza si pongono è se
sia possibile che un testamento contenga solo disposizioni negative (ad
esempio: escludo dalla mia successione Tizio).
La
dottrina tradizionale esclude l'ammissibilità della clausola di diseredazione
in quanto il testamento è un atto revocabile con cui taluno dispone, per il
tempo in cui avrà cessato di vivere, di tutte le sue sostanze o parte di esse
(art. 587 c.c.); la diseredazione, si sostiene, non è un modo di disporre.
Proprio l'avverbio "dispone" che il legislatore usa nell'articolo
citato, porterebbe alla considerazione che le disposizioni testamentarie devono
avere per fine ultimo una positiva attribuzione di beni e non una finalità
negativa, quale l'esclusione di alcuni soggetti dalla successione.
Secondo
la giurisprudenza della Cassazione, la clausola de quo sarebbe
ammissibile qualora contenga un'istituzione implicita di erede a favore di un
altro soggetto.
Due
importanti pronunce della suprema Corte, la n.1458/1967 e la n. 5895/1994, infatti,
escludevano l'ammissibilità di una diseredazione tout court, e
ritenevano nullo il testamento, che senza altre disposizioni positive di
attribuzione, avesse come esclusiva finalità quella di escludere un erede legittimo.
Alcuni
importanti giuristi ammettevano – anche prima della recente pronuncia - la
validità della clausola di diseredazione meramente negativa, e ciò sul
presupposto che nessuna norma di legge prevede un suo espresso divieto, ma
soprattutto perché, in base al principio fondamentale della autonomia
testamentaria, al testatore è riconosciuta la più ampia facoltà di disporre dei
suoi beni e quindi anche quella di escludere con apposita dichiarazione un
erede legittimo.
Ciononostante
sino ad oggi ha sempre prevalso la teoria negatrice della possibilità di
prevedere clausole di diseredazione “negative”, avvalorata da costanti pronunce
giurisprudenziali.
Per
anni è stato possibile, però, aggirare l'ostacolo creato dalla pronunce della
Suprema Corte utilizzando la tecnica delle sostituzioni, consistente nell’istituire
erede un soggetto e disponendo una serie di sostituzioni dette a cascata, fino
a prevedere come ultimo sostituito, un ente pubblico o lo Stato, in modo che al
soggetto che si intende escludere non vada comunque nulla.
La
sentenza della Cassazione n.8352/2012 costituisce una vera rivoluzione e, non
aderendo all'orientamento sopra richiamato, ammette la validità della clausola
diseredativa meramente negativa.
L'inversione
di tendenza della Cassazione nasce dall'adesione all'orientamento
precedentemente enunciato e sostenuto da autorevoli autori, di una diversa
interpretazione degli articoli 587 e 588 c.c..
Sostengono
infatti i giudici di legittimità che escludere dalla successione “equivale non
all’assenza di un’idonea manifestazione di volontà, ma ad una specifica
manifestazione di volontà, nella quale, rispetto ad una dichiarazione di volere
(positiva), muta il contenuto della dichiarazione stessa, che è negativa”.
Inoltre
“la clausola di diseredazione integra un atto dispositivo delle sostanze del
testatore, costituendo espressione di un regolamento di rapporti patrimoniali,
che può includersi nel contenuto tipico del testamento: il testatore sottraendo
dal quadro dei successibili ex lege il diseredato e restringendo la successione
legittima ai non diseredati, indirizza la concreta destinazione post mortem del
proprio patrimonio”.
Non
si può negare che, ai sensi dell'art. 587 1° comma c.c., anche attraverso la
sola diseredazione, il testatore abbia, sebbene in modo negativo, predisposto
un regolamento dei propri interessi per il tempo successivo alla propria morte.
Escludendo
alcuni successori legittimi dalla propria successione il testatore altro non
compie che una tacita disposizione in favore degli altri successori legittimi
di pari grado.
Il
Collegio, a sostegno della soluzione adottata, sottolinea poi come all'interno
dell’impianto normativo in materia testamentaria, sono presenti altre
disposizioni non attributive come ad esempio la ripartizione dei debiti
ereditari (art. 752 c.c.), la dispensa da collazione (art. 737 c.c.) o l'onere
testamentario (art.647 c.c.).
In
conclusione la Corte evidenzia come "l'ammissibilità della clausola
diseredativa, quale autonoma disposizione negativa, appare, infine, in linea
con l'ampio riconoscimento alla libertà e alla sovranità del testatore compiuto
dal legislatore, che in altri ambiti del diritto successorio ha ammesso
un'efficacia negativa del negozio testamentario".
Non
può negarsi quindi che, se la pronuncia esaminata verrà seguita ed avvalorata
nel tempo questo non potrà che riflettere per il futuro importanti novità nella
redazione di schede testamentarie.
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