martedì 17 luglio 2012

Il Diritto al Sepolcro alla luce della recente sentenza della Corte di Cassazione



Lo ius sepulchri (lett. Diritto al sepolcro) è un diritto risalente al periodo romano ed è essenzialmente regolato dalla consuetudine; esso consistente nel il diritto, spettante al titolare di concessione cimiteriale, ad essere tumulato nel sepolcro scelto. Ogni persona fisica, infatti, può scegliere liberamente le modalità ed il luogo della propria sepoltura. 


Il diritto al sepolcro nasce quindi da un atto costituito dal fondatore che può dare indicazioni circa la sua trasmissione in favore di terzi, stabilendo quando questa debba avvenire in via familiare – ed in tali casi si parla di trasmissione cd. Jure Sanguinis o ereditaria – anche definita Jure Successionis. 

Così come descritto, quindi, il diritto in oggetto garantisce al concessionario ampi poteri di godimento del bene e nei confronti dei terzi appare  assimilabile ai diritti reali di godimento, con la conseguente totale protezione della posizione giuridica che ne discende nei rapporti tra privati. 

Come detto il fondatore dello jus sepulchri stabilisce all’atto della sua costituzione, se tale diritto possa trasmettersi solo ai discendenti di una data famiglia o se, diversamente, esso possa successivamente essere trasferito anche a terzi (non identificati o non ricompresi all’interno di una determinata cerchia).

In tema di trasferimento del cd jus sepulchri , materia che può definirsi abbastanza “statica” dal punto di vista della scarsa evoluzione normativa che lo ha contraddistinto all’interno del panorama normativo italiano, si è recentemente espressa la Corte di Cassazione con sentenza 8 maggio 2012, n.7000, sez. II civile.

La Suprema Corte, esaminando nello specifico la legittimità del trasferimento del diritto sopra citato, si è soffermata sulla differenza sostanziale che  sarebbe ravvedibile nel considerare lo stesso trasferimento sulla base delle regole consuetudinarie, nel qual caso si parlerebbe di passaggio jure sanguinis, ovvero alla stregua della normativa vigente, per lo più considerata per analogia, laddove si arriverebbe a parlare di trasferimento jure successionis.
Nel caso di specie la S.C. ha respinto il ricorso avverso la decisione che nel merito aveva dichiarato la trasformazione del sepolcro da familiare ad ereditario, operando quella trasformazione da jure sanguinis a jure successionis del “diritto al sepolcro” sulla scia dei comportamenti dei discendenti nei confronti del Comune di appartenenza (titolare del potere concessorio dell’area cimiteriale ex. Art 824 c.c. E sulla base del D.P.R. 285/1990, ultimo intervento legislativo in materia).  

Per meglio comprendere quanto infra richiamato è necessario chiarire quali siano state le evoluzioni normative in materia così da rendere più agevole la comprensione di cosa ad oggi si intende per diritto al sepolcro. 
Appare utile a tale scopo evidenziare che l’art.824 c.c. Stabilisce che i cimiteri sono assoggettati al regime di del demanio pubblico,  dal che discenderebbe, l’attrazione della materia nell’ambito del diritto amministrativo. Ne conseguirebbe che lo jus sepulchri non farebbe sorgere non già un diritto vero e proprio quanto piuttosto un interesse legittimo.
Nonostante la vacuità delle disposizioni in materia, si è reso possibile operare una diversificazione, sulla base anche dell’ormai acquisito principio di libera cessione del diritto al sepolcro,  tra “diritto primario al sepolcro familiare o gentilizio”, consistente nel diritto di seppellire altri o di essere seppellito in un determinato sepolcro, attribuibile dal proprietario a favore del proprio gruppo familiare e “diritto secondario al sepolcro”, il quale spetta a chiunque sia congiunto di persona e si manifesta nella libertà accesso senza configurare violazione o oltraggio.

La novità introdotta della sentenza richiamata in epigrafe rileva, quindi, nelle modalità di trasferimento del diritto fin qui descritto, proprio alla luce dell’ultima interpretazione proposta. Posto che la natura traslativa dello “jus sepulchri” si manifesta attraverso la possibilità di trasferire il diritto sia mortis causa che con atto inter vivos, laddove la prima afferisce ai rapporti ereditari e la seconda a qualsiasi tipo di rapporto con i terzi, la Suprema Corte ha operato un’ulteriore diversificazione.
Secondo tale ultima interpretazione, infatti, posto che il diritto in oggetto si trasmette come qualsiasi altro bene, nel sepolcro gentilizio, tale perché edificato dal fondatore col fine di esservi tumulato insieme ai propri familiari, lo jus sepulchri si trasmette “jure sanguinis”, acquistandosi dal singolo jure proprio sin dal momento della nascita, per il solo motivo di trovarsi con il fondatore in quel particolare rapporto previsto dall’atto di fondazione o derivante dalla consuetudine. Verrebbe così a costituirsi una particolare forma di comunione tra contitolari (pro indiviso e pro indivisibile), senza la necessità di atto inter vivos o mortis causa per la legittimità del trasferimento e non sottoponibile a prescrizione o rinuncia. Nel momento in cui sopraggiunge la morte dell’ultimo componente superstite della gens allora avviene la trasformazione del diritto  da familiare in ereditario, assoggettabile perciò alle comuni regole della successione per causa di morte.

Può, quindi, essere agevolmente rinvenuto nel momento della costruzione del manufatto tombale la nascita del diritto al sepolcro familiare o ereditario quale diritto soggettivo di natura reale (il che lo differenzia ancora una volta dal diritto al sepolcro inteso in senso lato, laddove concedente sia la P.A. e perciò la configurazione del diritto appaia di gran lunga più accomunabile ad un interesse legittimo) il quale, solo a seguito della destinazione impressa dal fondatore con atto di autonomia privata acquisirà le differenziazioni di cui sopra.

In ultimo, la Cassazione nella sentenza 8 maggio 2012, n. 7000, si è soffermata anche in tema di concessione amministrativa rilasciata per l’edificazione del sepolcro stesso. Secondo la consulta, infatti, il diritto al sepolcro sorgerebbe già dal momento della concessione e si manifesterebbe attraverso l’edificazione prima e la sepoltura poi.

A ben vedere, quindi, tale diritto renderebbe il concessionario libero di godere di un diritto reale strettamente personale, cosa che lo legittimerebbe a trasferirlo a terzi senza che ciò rilevi nei rapporti con l’Ente concedente, fatta salva la possibilità per quest’ultimo di imporre vincoli di natura demaniale per interesse pubblico. Tale ultima interpretazione, quindi, rende erronea la tesi contraria sostenuta sempre dalla Cassazione nel 1994 – che ha stabilito che “nel nostro ordinamento, il diritto al sepolcro già costruito nasce da una concessione da parte dell’autorità amministrativa di un’area di terreno (o di una porzione di edificio) in un cimitero pubblico di carattere demaniale (art. 824 cod. Civ.) E tale concessione, di natura traslativa, crea, a sua volta, nel privato concessionario, un diritto soggettivo perfetto di natura reale e perciò opponibile, jure privatorum, agli atri privati, assimilabile al diritto di superficie, che si affievolisce, degradando ad interesse legittimo, nei confronti della P.A. nei casi in cui esigenze di pubblico interesse per la tutela dell’ordine e del buon governo del cimitero, impongono o consigliano alla P.A. di esercitare il potere di revoca della concessione” - e assegna al Notaio la competenza alla stipula di negozi aventi ad oggetto il diritto al sepolcro ereditario, intendendosi con questo il diritto ad utilizzare una porzione di diritto demaniale o un loculo per la sepoltura, conseguito per concessione amministrativa.




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