Lo ius sepulchri (lett. Diritto al sepolcro) è un diritto risalente
al periodo romano ed è essenzialmente regolato dalla consuetudine; esso
consistente nel il diritto, spettante al titolare di concessione cimiteriale,
ad essere tumulato nel sepolcro scelto. Ogni persona fisica, infatti, può
scegliere liberamente le modalità ed il luogo della propria sepoltura.
Il diritto al sepolcro nasce quindi da un atto costituito
dal fondatore che può dare indicazioni circa la sua trasmissione in favore di
terzi, stabilendo quando questa debba avvenire in via familiare – ed in tali
casi si parla di trasmissione cd. Jure Sanguinis o ereditaria – anche definita
Jure Successionis.
Così come descritto, quindi, il diritto in oggetto
garantisce al concessionario ampi poteri di godimento del bene e nei
confronti dei terzi appare assimilabile ai diritti reali di godimento,
con la conseguente totale protezione della posizione giuridica che ne discende nei
rapporti tra privati.
Come detto il fondatore dello jus sepulchri stabilisce all’atto
della sua costituzione, se tale diritto possa trasmettersi solo ai discendenti
di una data famiglia o se, diversamente, esso possa successivamente essere
trasferito anche a terzi (non identificati o non ricompresi all’interno di una
determinata cerchia).
In tema di trasferimento del cd jus sepulchri ,
materia che può definirsi abbastanza “statica” dal punto di vista della scarsa
evoluzione normativa che lo ha contraddistinto all’interno del panorama
normativo italiano, si è recentemente espressa la Corte di Cassazione con
sentenza 8 maggio 2012, n.7000, sez. II civile.
La Suprema Corte, esaminando nello specifico la legittimità
del trasferimento del diritto sopra citato, si è soffermata sulla differenza
sostanziale che sarebbe ravvedibile nel considerare lo stesso
trasferimento sulla base delle regole consuetudinarie, nel qual caso si
parlerebbe di passaggio jure sanguinis, ovvero alla stregua della
normativa vigente, per lo più considerata per analogia, laddove si arriverebbe
a parlare di trasferimento jure successionis.
Nel caso di specie la S.C. ha respinto il ricorso avverso la
decisione che nel merito aveva dichiarato la trasformazione del sepolcro da
familiare ad ereditario, operando quella trasformazione da jure sanguinis a
jure successionis del “diritto al sepolcro” sulla scia dei
comportamenti dei discendenti nei confronti del Comune di appartenenza
(titolare del potere concessorio dell’area cimiteriale ex. Art 824 c.c. E sulla
base del D.P.R. 285/1990, ultimo intervento legislativo in materia).
Per meglio comprendere quanto infra richiamato è necessario
chiarire quali siano state le evoluzioni normative in materia così da rendere
più agevole la comprensione di cosa ad oggi si intende per diritto al
sepolcro.
Appare utile a tale scopo evidenziare che l’art.824 c.c. Stabilisce
che i cimiteri sono assoggettati al regime di del demanio pubblico, dal
che discenderebbe, l’attrazione della materia nell’ambito del diritto
amministrativo. Ne conseguirebbe che lo jus sepulchri non farebbe sorgere non
già un diritto vero e proprio quanto piuttosto un interesse legittimo.
Nonostante la vacuità delle disposizioni in materia, si è
reso possibile operare una diversificazione, sulla base anche dell’ormai
acquisito principio di libera cessione del diritto al sepolcro, tra
“diritto primario al sepolcro familiare o gentilizio”, consistente nel diritto
di seppellire altri o di essere seppellito in un determinato sepolcro,
attribuibile dal proprietario a favore del proprio gruppo familiare e “diritto
secondario al sepolcro”, il quale spetta a chiunque sia congiunto di persona e
si manifesta nella libertà accesso senza configurare violazione o oltraggio.
La novità introdotta della sentenza richiamata in epigrafe
rileva, quindi, nelle modalità di trasferimento del diritto fin qui descritto,
proprio alla luce dell’ultima interpretazione proposta. Posto che la natura
traslativa dello “jus sepulchri” si manifesta attraverso la
possibilità di trasferire il diritto sia mortis causa che con atto inter vivos,
laddove la prima afferisce ai rapporti ereditari e la seconda a qualsiasi tipo
di rapporto con i terzi, la Suprema Corte ha operato un’ulteriore
diversificazione.
Secondo tale ultima interpretazione, infatti, posto che il
diritto in oggetto si trasmette come qualsiasi altro bene, nel sepolcro
gentilizio, tale perché edificato dal fondatore col fine di esservi tumulato
insieme ai propri familiari, lo jus sepulchri si trasmette “jure
sanguinis”, acquistandosi dal singolo jure proprio sin dal momento della
nascita, per il solo motivo di trovarsi con il fondatore in quel particolare
rapporto previsto dall’atto di fondazione o derivante dalla consuetudine.
Verrebbe così a costituirsi una particolare forma di comunione tra contitolari
(pro indiviso e pro indivisibile), senza la necessità di atto inter
vivos o mortis causa per la legittimità del trasferimento e non sottoponibile a
prescrizione o rinuncia. Nel momento in cui sopraggiunge la morte dell’ultimo
componente superstite della gens allora avviene la trasformazione del
diritto da familiare in ereditario, assoggettabile perciò
alle comuni regole della successione per causa di morte.
Può, quindi, essere agevolmente rinvenuto nel momento della
costruzione del manufatto tombale la nascita del diritto al sepolcro familiare
o ereditario quale diritto soggettivo di natura reale (il che lo differenzia
ancora una volta dal diritto al sepolcro inteso in senso lato, laddove
concedente sia la P.A. e perciò la configurazione del diritto appaia di gran
lunga più accomunabile ad un interesse legittimo) il quale, solo a seguito
della destinazione impressa dal fondatore con atto di autonomia privata
acquisirà le differenziazioni di cui sopra.
In ultimo, la Cassazione nella sentenza 8 maggio 2012, n.
7000, si è soffermata anche in tema di concessione amministrativa rilasciata
per l’edificazione del sepolcro stesso. Secondo la consulta, infatti, il
diritto al sepolcro sorgerebbe già dal momento della concessione e si
manifesterebbe attraverso l’edificazione prima e la sepoltura poi.
A ben vedere, quindi, tale diritto renderebbe il
concessionario libero di godere di un diritto reale strettamente personale,
cosa che lo legittimerebbe a trasferirlo a terzi senza che ciò rilevi nei
rapporti con l’Ente concedente, fatta salva la possibilità per quest’ultimo di
imporre vincoli di natura demaniale per interesse pubblico. Tale ultima
interpretazione, quindi, rende erronea la tesi contraria sostenuta sempre dalla
Cassazione nel 1994 – che ha stabilito che “nel nostro ordinamento, il diritto
al sepolcro già costruito nasce da una concessione da parte dell’autorità
amministrativa di un’area di terreno (o di una porzione di edificio) in un
cimitero pubblico di carattere demaniale (art. 824 cod. Civ.) E tale
concessione, di natura traslativa, crea, a sua volta, nel privato
concessionario, un diritto soggettivo perfetto di natura reale e perciò
opponibile, jure privatorum, agli atri privati, assimilabile al diritto di
superficie, che si affievolisce, degradando ad interesse legittimo, nei
confronti della P.A. nei casi in cui esigenze di pubblico interesse per la
tutela dell’ordine e del buon governo del cimitero, impongono o consigliano
alla P.A. di esercitare il potere di revoca della concessione” - e assegna al Notaio
la competenza alla stipula di negozi aventi ad oggetto il diritto al sepolcro
ereditario, intendendosi con questo il diritto ad utilizzare una porzione di
diritto demaniale o un loculo per la sepoltura, conseguito per concessione
amministrativa.
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